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Percorrendo il quartiere Casanova di Bolzano, ci siamo chiesti che cosa significhi progettare un Parco d’Arte e se un parco rappresenti un residuo o un ibrido naturale. Ci siamo interrogati sull'importanza e l'utilità di cercare una linea di confine fra la natura e la cultura, nonché fra l’arte e la cultura. Non abbiamo trovato alcuna risposta se non una semplice considerazione: in quanto artisti/progettisti, entriamo in contatto con la natura attraverso le persone che la abitano. Forse senza le persone non saremmo neppure in grado di percepire la natura in quanto tale né di riconoscerne la sua realtà.

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Attraverso queste semplici considerazioni siamo giunti a due scelte progettuali. La prima è quella di porre l’individuo e il suo corpo al centro del progetto. Abbiamo ripensato a Buckminster Fuller, quando diceva che “l’oggetto in sé è un servizio, una relazione, può comparire o sparire”. Forse, un parco è soltanto un luogo artificiale dove le persone possono recuperare l’impulso a muoversi. Ma come sollecitare quest’impulso? La nostra soluzione sta nel provocare degli smottamenti del terreno trasformando il parco in un susseguirsi di piani e corridoi inclinati. Il corpo dello spettatore si troverà così in una nuova relazione col piano di calpestio, un piano non più orizzontale ma inclinato. Il parco diventa così un luogo che - attraverso una leggera instabilità - stimola il corpo sollecitando l'impulso al movimento.

La seconda scelta progettuale è invece quella di porre l’accento sugli effetti dell’arte piuttosto che sui meri oggetti artistici. Nel tentativo di mantenere una continuità con il ruolo del corpo, abbiamo cercato di porre l’attenzione sulla percezione dello spettatore. Per farlo, abbiamo pensato al neurologo Francisco Varela quando sottolinea che “la percezione è già un modo di agire”. Ci siamo chiesti se porre il focus dell’arte sulla percezione sia il primo modo per attivare la partecipazione dello spettatore. Ma come potevamo sollecitare questa percezione senza realizzare un oggetto o un’installazione? La nostra soluzione è quella di riconfigurare la percezione cromatica del paesaggio circostante. Da qui nascono due corpi architettonici obliqui, gli unici in tutto il parco e che, erroneamente, chiameremo Camere Oscure. Queste ultime hanno entrambe un affaccio chiuso da una vetrata modulare di vetri dicroici che frastaglia la luce del sole, alterando e cangiando sia il riflesso sia il riverbero della luce. La posizione delle Camere Oscure è guidata da due fattori: l’orientamento, dettato dall’azimut, e l’inclinazione, dettata dall’angolo di elevazione solare. Questi due parametri vengono scelti nella prima Camera Oscura per prediligere la luce del mattino mentre nella seconda per prediligere la luce del pomeriggio. Al centro del progetto si trova una piccola piazza ricavata dal gioco di dislivelli dei terrapieni che, essendo lo snodo per raggiungere le due Camere Oscure, rappresenta il punto d’arrivo e di partenza del percorso.

In conclusione, la nostra proposta vuole stimolare la partecipazione dello spettatore ponendo l’accento sugli effetti di un Parco d’Arte. Lo spettatore non viene inteso come co-autore dell'opera, ma come il suo attivatore: senza di lui l’opera non potrebbe esistere, proprio come senza la presenza dell’uomo non potremmo capire cos’è la natura. Crediamo che stimolare la percezione dello spettatore sia il compito etico dell’arte, soprattutto quando questa viene creata dalle istituzioni pubbliche e realizzata in luoghi non deputati all’arte contemporanea. Obiettivo del progetto è quello di accogliere le proposte e le necessità future degli spettatori: solo così lo spazio prescelto potrà raggiungere quella familiarità necessaria per diventare luogo. Per questo abbiamo deciso di rendere le due Camere Oscure degli spazi flessibili, in modo che possano accogliere il fermento del momento e, assieme alla piccola piazza, aprire lo spazio a ogni utilizzo. In questa prospettiva, speriamo di rendere un triplice servizio: aggiungere un secondo satellite esterno a Museion in continuità con il cubo di Alberto Garutti, predisporre un luogo dinamico per le necessità della comunità del quartiere Don Bosco e realizzare un Parco d’Arte innovativo che sappia coniugare bellezza e responsabilità etica.

 

dettagli

Competizione Kunst Park Città di Bolzano

anno

2012

dimensioni

variabili

genere

architettura del paesaggio

press

non disponibile

credits

storia produzione

progetto non realizzato

numero repliche

00